La mostra, tutta al feminile, attraversa una selezione di più di quaranta opere, proponendo un percorso inedito che collega varie artiste nate ed attive nel secolo scorso, ed in parte di questo, molte delle quali operanti in ambito torinese.
All’interno di questo itinerario dialogante, l’uso innovativo dei materiali – filtrato dalle infinite sfaccettature delle diverse sensibilità femminili – crea una sorta di leitmotiv: un complesso e seducente gioco di “rime” interne, un intreccio continuo di eufonie e dissonanze, un contrappunto di assonanze e divergenze. Si tratta, insomma, di un suggestivo incastro di dialoghi possibili e impossibili, tra vertigini emotive, picchi lirici e tensioni razionali. Bice Lazzari (1900-1981), una delle protagoniste del Novecento, donna indipendente e moderna rispetto ai tempi in cui si è formata (prima al Conservatorio Benedetto Marcello, poi all’Accademia di Belle Arti di Venezia) e ha operato, è unanimemente ritenuta una pioniera della modernità; smaltite le sperimentazioni informali del secondo dopoguerra, intorno alla metà degli anni Sessanta si è rimessa in gioco ed è ripartita da zero, rinunciando alla materia e al colore a favore di mezzi più semplici, di soluzioni più “pure”: per lo più linee tracciate con la grafite su fondo monocromo a pastello, capaci comunque di sfiorare inattingibili vette di musicalità e lirismo. Non meno indipendente, moderna e soprattutto anticonformista, Carol Rama (1918-2015) ha attraversato il secolo XX° e ha scavallato nel nuovo millennio, stupendo e scandalizzando fino all’ultimo grazie alla sua dirompente genialità; artista oggi celebrata a livello internazionale, con i fili da ricamo cuciti su tela vinilica degli anni Settanta ha tessuto inaudite partiture, sospese tra razionalità e follia. Una parabola artistica ed esistenziale di quasi identica durata e collocazione temporale è stata quella della sarda Maria Lai (1919-2013): talento precoce, da ragazzina – tra l’altro – posò per il conterraneo Francesco Ciusa, grande scultore sbocciato dal fermento primonovecentesco, che doveva realizzare un ritratto in marmo per la tomba della sorella Cornelietta Lai, morta nel 1935; Maria fu straordinariamente creativa anche in tarda età, quando la sua ricerca sui segni e sui materiali (assai apprezzati i lavori cuciti o quelli con interventi in legno e acciaio), frugando nel passato e nelle memorie, assunse una carica fortemente simbolica. Formatasi in ambito letterario, prima ancora che artistico, Luciana Campi (1922-2009) trascorse tutta la vita con il marito, il pittore Mario Davico; quello dipinto dalla Campi è un colto e raffinato ordito “filosofico”, che tende a un superamento dell’immagine ed esige un approccio intellettuale (non solo istintivo) per una piena e adeguata comprensione. Sarda come Maria Lai è Rosanna Rossi, cagliaritana del 1937; più volte esposta a Torino dal gallerista Giancarlo Salzano, lo stesso che si occupò con passione di Carol Rama, Rosanna sembra vivere «in un luogo di esilio e di pienezza» e guardare «con occhi voltati verso il di dentro», come ha scritto Lea Vergine, che ha avuto altresì l’acutezza di captare, sotto la mitezza apparente delle tele della pittrice, un ardore e una furia da mistica. Si stempera lieve e incorporeo il colore sulla superficie ruvida delle tele di Lea Gyarmati (nata a Torino nel 1938), a proposito delle quali qualcuno, pensiamo a Marco Rosci, ha voluto parlare di «topografia del sogno e della fantasia»: squisitissimi, impalpabili – per non dire con l’autrice stessa «ambigui» e «fragili» – sogni dal palpito fantastico, organizzati e distribuiti in ben precisi ritmi, tracciati, percorsi, planimetrie trasparenti e aeree, ma non per questo meno dotate di loro proprie misteriose leggi di profondità. Scultrice per costituzione, Marina Sasso (torinese, classe 1945) con la sua vocazione per la tridimensionalità non rinuncia certo ai valori coloristici della materia: terracotta, ferro, piombo, acciaio, ottone, nelle sue mani divengono armoniche campiture cromatiche, non solo robusti elementi strutturanti di una scultura che privilegia con tutta evidenza la costruzione, il contrasto materico, la frontalità. La luce, che restituisce l’illusione del movimento e della terza dimensione, compartecipa in maniera decisa, vibrante e creativa alle costanti ricerche e alle sofisticate sperimentazioni di Alma Zoppegni; in effetti nella sublimazione della realtà materiale operata dall’artista – nata nel 1950, di origini astigiane – c’è qualcosa di altamente sofisticato (decisivo, sul piano intellettuale, il suo incontro con la personalità di Gino Gorza) e al contempo di occultamente, insospettabilmente viscerale. Siciliana di Noto, dove è nata nel 1952, Lucia Nazzaro si è formata a Torino e ha insegnato pittura all’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria, per poi rientrare definitivamente nel capoluogo sabaudo; la sua interiorità inquieta, sofferta, lacerata, alla perenne ricerca di un possibile altrove anche nel fare poetico, trova l’elemento visivo laddove si “ferma” la parola scritta: notata negli anni Ottanta dai galleristi Martano e Salzano, la sua opera è pervasa da un dinamismo emotivo di un’intensità che non di rado rasenta il parossismo, rendendosi strumento capace di addentrarsi in profondità inconsce, oscure e abissali. Un discorso a sé andrebbe infine riservato al Clotilde Ceriana Mayneri (1940-2023), scomparsa nel marzo dello scorso anno. Appartenente a un’importante famiglia piemontese, che ebbe tra i suoi esponenti Carlo, illustre generale di cavalleria, il deputato e industriale Michele (tra i fondatori della Fiat) e Ludovico, diplomatico e parlamentare di cinque legislature, Clotilde nel 1963 si diplomò in scultura all’Accademia Albertina, allieva di Umberto Baglioni e Giovanni Chissotti. Figura naturalmente elegante, riservata e schiva fin quasi all’occultamento di sé, dal 1967 al 1990 insegnò discipline plastiche al Primo Liceo Artistico di Torino. Il suo nobile discorso espressivo, profondamente interiorizzato, è sempre stato refrattario all’effimera volgarità delle mode passeggere e rivolto senza cedimenti ai valori eterni della poesia: siano sculture in bronzo o in ceramica, oppure collage di carte con interventi di scrittura, fili di canapa ed elementi vegetali, i lavori di Clotilde Ceriana parlano silenziosamente di vaghi affioramenti della memoria, di remote sedimentazioni del pensiero, di sentimenti trattenuti e inconfessabili, di non rumorose solitudini, lontane anni luce dal fragore degli isterismi collettivi contemporanei. Tutto ciò fa di lei un’autrice di respiro, cultura e spessore europei, radicalmente diversa dalla piccola artista, intimista e locale, quale la si è ingiustamente e ottusamente troppo a lungo scritto.
ASSONANZE DIVERGENZE alla Galleria del Ponte
Fino al 23 novembre 2024 • Dal martedì al sabato, 10-12:30 – 16-19:30 ingresso libero
Presentazione di Armando Audoli
C.so Moncalieri 3, Torino, 10131
+39 011.81.93.233
info@galleriadelponte.it www.galkeriadelponte.it