Nel corso della puntata di “Quarto Grado” – in onda questa sera venerdì 20 settembre, su Retequattro – è andato in onda un documento esclusivo su Filippo Turetta.
A pochi giorni dall’inizio del processo a Filippo Turetta, reo confesso per la morte dell’ex fidanzata Giulia Cecchettin, il programma ha proposto parte del video dell’interrogatorio, che in totale è durato circa 7 ore: è la prima volta che tali immagini vengono diffuse. L’interrogatorio è avvenuto il 1° dicembre 2023, nel carcere Montorio di Verona: Turetta racconta agli inquirenti i dettagli dell’omicidio.
Mai una lacrima. Lo sguardo spesso rivolto a terra. Lunghe pause. Turetta è dimagrito rispetto alle foto che lo ritraevano prima della tragedia, diffuse quando gli inquirenti cercavano di localizzarlo.
Di seguito, stralci dell’interrogatorio:
A quel punto questa ragazza cosa fa?
«Mentre andavamo da Vigonovo a Fossò si è un po’ alzata e si è messa seduta. Urlava e io ho rallentato, quasi a fermarmi in mezzo alla strada. Poi ha iniziato a dirmi “Cosa stai facendo? Sei pazzo, lasciami andare”. Si stava toccando un po’ la testa… ho provato a metterle un pezzo di scotch in bocca».
Questo pezzo di scotch da dove saltava fuori?
«Avevo anche un altro zaino: mi ero girato… la tenevo ferma con un braccio, poggiandomi su di lei. Ha iniziato a dimenarsi… ha provato a toglierlo, insomma. È uscita dalla macchina e ha iniziato a scappare, a correre. Anche io sono sceso dalla macchina, di corsa per raggiungerla e fermarla. Lei aveva iniziato a urlare “aiuto!“».
Avevi qualcosa con te in mano?
«Sì, avevo preso un coltello… un altro coltello… dal sedile del passeggero. Entrambi li avevo presi prima e ho iniziato a rincorrerla. Ero sempre più vicino a lei e non so se io l’abbia un po’ spinta o se lei sia inciampata correndo. È caduta, mi sono abbassato sopra di lei… lei continuava ovviamente a urlare “aiuto”. Ho iniziato a colpirla con il coltello e le ho dato, non so, una decina, 12, non so… comunque diversi colpi col coltello. Volevo colpire il collo, sopra il collo, sulle spalle e poi sulla testa… cioè, sulla faccia… e poi sulle braccia. Era rivolta verso di me».
Ricorda se si proteggeva?
«Si proteggeva dove la stavo colpendo, sul collo e sul volto, in generale si copriva con le braccia. Si stava un po’ proteggendo e chiudendo e potrei anche averla colpita sulla nuca. Sicuramente, l’ultima coltellata che le ho dato era tipo nella zona vicino all’occhio. Ho smesso subito… non avrei dovuto colpirla in certi punti… un po’ perché mi ero accorto che le avevo dato una coltellata sull’occhio, e la cosa mi faceva troppo senso, e quindi ho smesso… pensavo non ci fosse più…».
C’è un momento in cui la macchina è ferma per diversi minuti…
«Non avrei mai pensato di farle questo. Ho spento il suo cellulare, non riuscivo a trovarlo: ho provato a scuoterla… a urlarle, ma non rispondeva. Ho gettato il coltello e il suo telefono. A poca distanza da Fossò mi sono accorto che stavo sporcando un po’: ho guardato e ho visto che mi usciva un po’ di sangue. Mi ero reso conto di quello che avevo fatto… volevo allontanarmi il più possibile».
Aveva in mente un luogo, una destinazione?
«In realtà no, avevo pensato di allontanarmi verso la montagna. Avevo cercato un luogo abbastanza isolato, sia per nasconder il corpo e per magari provare a suicidarmi. Oppure per pensare a cosa fare, come fare, e poi sono arrivato lì, dove è stata trovata. Mi sono fermato in mezzo alla strada. Ho provato anche con un sacchetto a soffocarmi, anche dopo averlo legato con lo scotch, ma non sono riuscito. L’ho strappato all’ultimo. Non sono molto coraggioso… anche i giorni successivi ci provavo, ma rimandavo sempre la cosa a ore dopo, al giorno dopo. L’ho presa e ho iniziato a nasconderla: era dietro, non sui sedili, sugli spazi dietro nella macchina. Non riuscivo… poi cadeva… e allora l’ho messa in quella zona dove è stata trovata… in quel punto, che non volevo venisse rovinato… che fosse nelle migliori condizioni».
In terra dove ha messo il cadavere, sperando che venisse trovato, francamente, mi perdoni ma è difficile da credere…
«Volevo rallentare, magari un pochino, ‘che venisse trovata… A sera sono arrivato alla strada che portava a Salisburgo, poi anche a Monaco e nella notte sono arrivato».
Non ha mai dormito, non si è mai fermato?
«No, no… ho guidato tutto il giorno».
Ha mai mangiato da qualche parte?
«No, avevo un pacchetto di patatine in macchina e una scatola con qualche biscotto. Sono andato poi verso Berlino, ho guidato fino a una stazione di servizio, dove ho cercato notizie di quello che riguardava noi. Avevo letto delle notizie dei miei genitori, che speravano di trovarmi ancora vivo. Sono andato con la macchina dove ci sono gli SOS per provare a chiamare la polizia, ma mentre lo stavo facendo è arrivata una macchina della polizia e gli ho detto di arrestarmi e tutto il resto, dopo».